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Arcade Fire@Rock in Roma, Ippodromo delle Capannelle – 23.06

La “festa” inizia puntualissima. Sono le 21.45 e gli Arcade Fire salgono sul palco. Con i volti coperti da grandi maschere di cartapesta imbracciano gli strumenti ed iniziano a suonare. Il brano è “Rebellion (Lies)” ma non arriva nemmeno alla fine: dal backstage escono i “veri” Arcade Fire e si sostituiscono agli “impostori”. Curioso che questi ultimi indossino completi scuri e anonimi a differenza degli AF che sfoggiano completi chiari, sfavillanti e ricchi di lustrini e paillets quasi a voler, anche attraverso il look, sancire la netta virata ed il conseguente cambio di direzione stilistico che, abbandonati i suoni barocchi e malinconici degli anni passati, arriva oggi ad abbracciare melodie, ritmiche ed arrangiamenti degni della miglior tradizione dance-floor anni ’80. E ballare equivale a festeggiare. A celebrare la gioia, la vita, il cuore che pulsa al ritmo delle emozioni e ci fa saltare dall’inizio fino alla fine dello show. “Normal person” parte solo apparentemente in sordina per esplodere di luci e suoni sul ritornello, quindi “Reflektor” e la bellissima “Flashbulb eyes”, piena di echi dub e percussioni. La band, salta e balla, come il pubblico. Sono in tanti e sono belli a vederli muoversi da un lato all’altro del palco scambiandosi e alternandosi agli strumenti come fossero bambini che giocano.

 

La sezione ritmica è ricchissima: due batterie, percussioni latine e brasiliane, un potentissimo basso elettrico, che per tutto il concerto suona leggeremente, ma piacevolmente, distorto. “Neighborhood #3 (Power Out)” , brano del 2005, con l’intro di agogò, suona quasi carioca se non fosse per il bridge vocale di Win Butler, punk quanto basta, e per il tema di basso elettrico intriso di new-wave. E sul punk , ancora più duri, si prosegue con “Joan of Arc”, da Reflektor e “Month of May”, estratta da The Suburbs del 2010. Si continua con lo stesso album e con il brano omonimo mentre sul mega schermo appaiono le immagini digitalmente rielaborate della video-clip originale. La scenografia e la coreografia di luci sono davvero belle. Dagli schermi – il grande centrale e i due ai lati del palco – tante e molteplici sono le rielaborazioni in real-time degli stessi musicisti intenti a suonare con filtri ed effetti tipici delle produzioni video anni ottanta, mentre, in un fantastico gioco di forme e colori, le decine di specchi esagonali che calano dall’alto riflettono (reflektor?) e restituiscono al pubblico un’inedita percezione dello spazio fisico ed emotivo. Nonostante i continui rimandi apparentemente nostalgici e l’uso ricorrente a segni e a linguaggi stilistici degli anni ’80 è evidente quanto gli AF non si limitano a “scimmiottarne” i caratteri quanto, piuttosto, a reinterpretare gli stessi, filtrandoli attraverso una lente di ingrandimento, la loro grande sensibilità e creatività, che ne esalta i tratti più autentici e meno “glam”. “Ready to Start”, e noi continuiamo a saltare, quindi “Neighborhood #2 (Laika)” con la bellissima e sempre sorridente Régine che imbraccia la fisarmonica e canta con una voce fine e sottile da far accapponar la pelle.

 

 

“No Cars Go”, dritta e potente, con i fiati che avvolgono e sottolineano ogni passaggio melodico, precede “We Exist”, accompagnata dal video di quattro sensazionali ballerini, un pò “Full-Monthy” un pò “Village People“. “Afterlife”, fantastica ma, ahimè, non quanto sul disco, con la coreografia di una figura umana, che si muove lenta sul piccolo palco posto tra il pubblico delle prime file, ricoperta da microscopici specchi a cui segue ”It’s Never Over”con Règine che danza con la “morte” sullo stesso palchetto mentre sul maxi-schermo le immagini di lei rielaborate la trasformano in un perfetto mash-up tra Donna Summer e la Principessa Leila di Star Wars. Ancora un altro brano “Sprawl II” da The Suburbs, nel quale ricordano tanto gli ABBA, e la band canadese lascia il palco. Ma solo per pochi minuti. Per il bis ci regalano – oltre ad una spettacolare, sorprendente quanto emozionante, gigantesca pioggia di coriandoli che “bagna” tutto il pubblico catapultandolo improvvisamente in un frenetico carnevale carioca sulle note di “Here comes the night time” – “Pie Jesu” con Win che suona con la maschera in carta pesta di Papa Francesco, “Keep the Car Running” e la meravigliosa e corale “Wake Up”, da Funeral, per chiudere.

Uno show intensissimo; abbiamo ballato dal primo all’ultimo brano. Uno spettacolo curato in ogni dettaglio, dalle scenografie alle coreografie, dalla scelta della scaletta alla performance. Gli Arcade Fire sono, da molti, considerati la band del momento: credo proprio che mai nessuna considerazione sia stata più appropriata.

(Michele Mancaniello per RootsIsland)