Blog

QOTSA@Rock in Roma – 3.06.14

E’ la prima volta che i Qotsa si esibiscono a Roma. Ed è un esordio decisamente interessante. Nonostante i timori derivanti dal precedente show, in quel di Bologna, durato solo 70 minuti la band stoner per antonomasia non si è risparmiata ed ha, con energia e tenacia da teen-ager, messo a ferro e fuoco il maestoso palco di Rock in Roma, all’ippodromo delle Capannelle. L’inizio è tosto come, del resto, c’era da aspettarsi e come in fondo desideravamo tutti: “You Think I Ain’t Worth a Dollar, but I Feel Like a Millionaire” parte come un razzo ed accende la folla, spiazzandola come un diretto che ti colpisce in pieno volto quando meno te l’aspetti. “No one Knows” allenta, ma solo leggermente, la tensione che, ridotta ad un ritmo più lento, si inacidisce in una ballata tremendamente malata quale è “Smooth Sailing” – tratta dal nuovo lavoro in studio “Like Clockwork”. “My God is the sun“, anch’essa tratta dallo stesso album, parte a cannone e, nonostante la versione studio sia pregna di riferimenti new wave, dal vivo suona violenta e cattiva peggio di un brano “punk”.

Mi sto arrampicando sugli specchi, lo so: “etichettare” i Qotsa risulta una vera forzatura perchè gli arrangiamenti, le progressioni armoniche e melodiche, le strutture ritmiche sono talmente originali (seppur evidentemente frutto di un diabolico mash-up sonoro) da non poterle ricondurre ad alcun genere. Tanto che lo hanno dovuto inventare, il genere, apposta per loro: “stoner, cosi li definiscono. Ed, in effetti, duri, come le pietre – stones – lo sono davvero: “Burn the witch“, suona incazzata peggio della strega pubblicamente messa ad abbrustolire, mentre la successiva “The funk machine took a shit and died” sembra un blues scritto da Ozzy Osbourne dopo aver fatto indigestione di spezzatino di pipistrello.

 

Non resta che stemperare un pò e alleggerire l’atmosfera virando bruscamente con il riff “pop” di “I sat by the ocean” verso una, a questo punto, necessaria confort-zone. “Like clockwork” ammicca ai grandi classici del rock e ci regala suoni ed atmosfere uniche. Ancora dal nuovo lavoro “If I had a tail“, quasi “disco-music”, per poi ritornare a qualche anno fa con “Little Sister” potentissima, distorta ma pulita come la versione in studio. I cinque continuano, quindi, imperterriti a passare da un lavoro all’altro, con energia immutata senza dimostrare alcun segno di cedimento, anzi. “Sick, sick, sick” – da Era Vulgaris – suona dura, veloce e grunge: il bridge strumentale, magari non sarete d’accordo, per me riprende le sonorità e tutte le intenzioni della bellissima che fu “Jesus Christ Pose” dei Soundgarden, uno dei gruppi che non credo possa non aver stimolato le fantasie compositive di Homme. Ancora musica, ancora rock, nel vero senso della parola: il rock che ti fa muovere, nonostante la tua giornata abbia avuto dodici ore di lavoro ininterrotto, il rock che ti fa scuotere, vibrare e sentire – come direbbe il biondo leader della band – “fucking good”.

I Qotsa a questo punto vanno via: hanno già superato i “temuti” 70 minuti, ma stasera è evidente non hanno intenzione di risparmiarsi. Tornano sul palco e parte ” The Vampyre of time and money“: quella che “…sembrano David Bowie…” come dice Marialuisa e che è anche un pò vero ma non turba in quanto, nonostante l’effettiva “assonanza”, si intuisce la sincera onestà creativa di Homme ben lontano da un banale tentativo di emulazione del Duca Bianco. Un altro brano ancora e si chiude duro, cosi come si è iniziato: “Song for the dead” dall’omonimo album (con la F), urlata, strillata, distorta, massiccia, più di qualsiasi pietra. La band, tutta, una macchina da guerra: tecnicamente impeccabili quanto capaci di coinvolgere emotivamente il pubblico e portarlo a saltare da inizio a fine concerto. Notevole la coreografia di luci, che ha contribuito non poco ad accendere la notte a Capannelle.

 

(Michele Mancaniello per Roots Island)