Blog

Editors@Rock in Rome, Ippodromo delle Capannelle, 21.07.2014

“An end has a start”. Questo il titolo di uno dei tanti tiratissimi brani degli Editors, tratto dall’omonimo album, pubblicato nel 2007. Ogni fine è un inizio, ci canta la band di Birmingham, a volerci sottolineare e ricordare quello che sembra essere il tratto che contraddistingue la loro produzione e muove la loro vena artistica: quel “continuum”, che li lega indissolubilmente, senza soluzione di continuità, al decennio in cui in Europa irruppe  la “new wave”. Gli anni ’80, da alcuni abiurati da altri idolatrati, hanno di fatto assistito alla nascita, nel Regno Unito – Irlanda compresa –  di un suono e di uno stile inconfondibile, che conteneva in se rock’nroll, post-punk, dark ma anche elettronica, pop e, nonostante sia cresciuto a pane e new-wave l’ho notato solo ieri sera durante il live degli Editors, elementi tipici della disco music. La new wave, mi rendo conto solo oggi, è la risposta, tutta british, a quella che fu la “febbre del sabato sera” afro-americana. La new-wave si ascoltava e, soprattutto, si ballava. Non è un caso che il charleston della batteria anni ’80 suoni uguale a quello di un qualsiasi brano di Donna Summer o degli Chic, in levare, e che il rullante e la cassa vadano giù dritti, senza inciampi, sul quattro quarti. Quel ritmo è impossibile non ti faccia muovere, danzare. Ritmo che ha contagiato me e altre migliaia di persone presenti ieri sera all’Ippodromo delle Capannelle di Roma per il concerto dei cinque di Birmingham. E strano è che siano inglesi, visto e considerato che il ritorno della new-wave sia dovuto, prevalentemente, a band statunitensi (Interpol, The Killers, The National etc.).

Il concerto si apre subito potente con “Sugar”, tratta dall’album The weight of your Love, del 2013brano nel quale il basso di Russel Leetch, carico di flanger e chorus, conduce e la fa da padrone. Tom Smith, dimostra da subito di avere ottime doti canore e grande “appeal”, nonostante la grandiosa gaffe che fa salutando il pubblico con un “grazie Milano”. Il ritmo resta sostenuto con “Munich”, secondo brano in scaletta, del 2005, con il riff “edgiano” di Justin Lockey e la batteria potente di Edward Lay, del quale intravediamo il ciuffo di capelli sventolare al ritmo dei colpi sul rullante e sui tom. Sembra di ascoltare gli U2 di Boy o di October, ma forse me ne accorgo solo io e qualche coetaneo che, trent’anni fa, quei vinili li ha consumati: ciò detto, me ne frego del “già sentito” e ballo, perché gli Editors suonano bene e ti fanno saltare. “An end has a start”, e la carica è davvero tanta anzi cresce brano dopo brano.

“All sparks” sembra uscita da un album dei Church quindi” Formaldehyde”, dal lavoro più recente, tirata e melodica e con un ritornello davvero ruffiano. La successiva “Bullets”, elettro-pop priva di melodia, suona un po’ meno incisiva e lascia intravedere, a mio personalissimo parere, qualche pecca nella produzione della band. “The racing rats” ed il ritmo torna sostenuto, ottimo riff di chitarra che fa da tema, sezione ritmica decisamente anni ’80 e la voce di Smith profonda e calda: come non saltare? “A life is a ghost”, suona più rock delle altre e con una struttura più complessa, lasciando intendere che la band oltre a far suo un suono già sentito tenta, seppur raramente, di cimentarsi con produzioni originali ed il più possibile scevre da qualsiasi contaminazione. “Eat Raw Meat = Blood Drool”, nella quale suonano echi elettronici e sugli schermi alle spalle dei musicisti si alternano animazioni e giochi di luci.”In this light and on this evening”, brano dell’album omonimo del 2009, forse il lavoro più elettronico e difficile del gruppo: bellissimo il finale, con gli intrecci di chitarre e tastiere quasi prog mentre il basso e la batteria spingono e tirano su un muro di suono, compatto e indiscutibile. “Bricks and mortar”, rimanda alla prima new-wave, ai Joy Division che, indubbiamente, sono uno delle band di riferimento degli Editors. Tom Smith, come tutti gli altri, non si risparmia. Canta, suona la chitarra, il piano, e ci salta sopra, corre da una parte all’altra dello stage dando vita ad uno show coinvolgente. “A ton of love”, del 2013, e tornano nuovamente alla mente gli U2. “Bones”, “Honesty” e “Smokers outside the hospital doors” chiudono un set tiratissimo e privo di sbavature.

La band lascia il palco e dopo pochissimi minuti, Smith da solo ci suona una bellissima versione acustica di “The Weight”. Torna quindi la band al completo per regalarci altre tre hits, “Two hearted spider”, “Nothing” e “Papillon”, con la quale ci lasciano con una coda lunghissima (forse troppo). Gli Editors dimostrano di avere un live trascinante, nel quale la padronanza tecnica si fonde perfettamente con sonorità affabili e melodie da “canzone”. Fanno ballare e questo, oggi, mi basta. Poca originalità stilistica, ma c’è ancora da stupirsene?

Siamo tutti hipster, figli o genitori della generazione “Spotify”, individui “…così fragilmente alla ricerca della propria autenticità e così in dubbio sulla propria autenticità…espressione culturale della generazione degli anni zero, perché questa generazione cresce in un’insicurezza mai provata prima dalle generazioni precedenti. Precaria nel lavoro, digitalizzata nelle relazioni sociali, questa generazione ha bisogno, anche solo simbolicamente, di ritrovare l’autenticità delle cose..” in un tempo che fu, gli anni ’80…”ora è molto più difficile essere anticonformisti in una società complessa dove i brand trasformano ogni forma di ribellione in bene di consumo (T.Bonini). ”

(Michele Mancaniello per RootsIsland)